La Nave dei Folli #4.38 fraontheblock
Episodio 4.38
L’affermarsi del postumano si basa, come dice André Gorz, su un “miraggio grammaticale” o, potremmo aggiungere, su una vera e propria menzogna. Spacciare le nuove tecnologie come l’ingegneria genetica, l’intelligenza artificiale o la realtà virtuale come potenziamenti che ci aiuteranno a trascendere, se non abolire, la condizione umana, permettendo una produzione del sé che Sloterdijk definisce autotecnica, oppure omoeotecnica, nascondono una realtà esattamente opposta: si tratta infatti, al contrario di quanto sostiene il filosofo tedesco, di eterotecniche, che non fanno che aumentare il grado di dipendenza e crollare a zero quello di autonomia.
Spacciando la realtà come un’armoniosa organizzazione basata sullo scambio di informazioni, che permetterebbe di superare una situazione oramai arcaica riassumibile nell’affermazione di Sartre «Io sono ciò che ho», ovvero che «La totalità dei miei possedimenti riflette la totalità del mio essere» (Jean-Paul Sartre, “Fare e avere” in L’essere e il nulla: saggio di ontologia fenomenologica, il Saggiatore, Milano 2002, pp. 633) ecco che Sloterdijk vi contrappone l’idea secondo cui «i titolari di identità vogliono affermare: io sono ciò che mi ha. La realtà del mio essere viene garantita dalla somma di ciò che mi possiede.» (Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 231)
Questa mistificazione era stata già annunciata un decennio prima, quando sempre contrapponendosi al filosofo francese, in “Dal centrismo morbido al rischio di pensare”, Sloterdijk sentenziava: «Sartre ha espresso la condizione umana con una frase tanto profonda quanto paradossale: l’uomo è un essere condannato alla libertà. Questo in un’epoca in cui le parole chiave erano solitudine e impegno. Le parole d’ordine del nostro tempo, invece, sono cooperazione e comunicazione. Siamo quindi bloccati in un altro paradosso: quello di essere condannati alla fiducia. Il che non significa che stiamo correndo alla cieca verso un futuro mostruosamente tecnologico, ma che stiamo discutendo i rischi di sviluppi già iniziati, con una libertà di espressione illimitata e alla luce delle nostre conoscenze attuali.» (“Point de vue: du centrisme mou au risque de penser”, Le Monde, 8/10/1999)
La cosa più strana, per riprendere l’idea del filosofo Yves Michaud, è che discorsi come ad esempio quello di Sloterdijk possano essere fatti, soprattutto se pensiamo che sovente provengono dalla bocca di chi si considera e spaccia come democratico illuminato o perfino come antagonista anticapitalista. Questa possibilità infatti corrisponde, a livello sociologico, alla messa in pratica di un anti-umanesimo cibernetico grazie alle tecnoscienze del vivente. (Michaud, Humain, inhumain, trop humain, 2002, p. 77) Queste ultime, come vedremo nel proseguo della nostra esplorazione dell’Impero cibernetico, prendono corpo, si fa per dire, in un universo culturale in cui obiettività scientifica e cieca credenza nel progresso tendono sempre più a confondersi. Siamo all’alba di una vera e propria religione scientista.
Sommario 4.38
Riferimenti 4.38