La Nave dei Folli #4.54 Matteo
Quanto il “nuovo umanesimo” proposto da Teilhard de Chardin si allontani dall’eredità della modernità cristiana risalta in modo ancor più lampante allorché ci si sofferma sulla nozione di interiorità. Una delle caratteristiche proprie dell’individualismo, secondo un punto di vista umanista, è l’idea di una interiorità soggettiva separata dal resto del mondo. Nella sua prospettiva evoluzionista, invece, il paleontologo gesuita vede l’interiorità piuttosto come un dato comune all’insieme della materia, di cui è possibile misurarne il livello. Così, secondo la formula del teologo Gaston Isaye, «il grado di interiorità corrisponde al grado di complessità.» (“La cybernétique et Teilhard de Chardin”, in Actes du 3e Congrès international de cybernétique, 11-15 settembre 1961, Namur) Questa complessificazione della coscienza evolutiva favorisce la progressiva differenziazione degli elementi collegati al tutto. In questo modo, proprio come avevamo analizzato nel caso del modello informatico, la nozione di differenza presuppone una desoggettivizzazione dell’individuo: «In qualunque campo – si tratti delle cellule di un corpo, o dei membri di una società, o degli elementi di una sintesi naturale –, l’unione differenzia. In ogni sistema organizzato, le parti si perfezionano e si compiono.» (Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano [1955], p. 352)
Se l’astrazione dell’idea di coscienza in Teilhard de Chardin assomiglia alla fludità concettuale della nozione cibernetica di informazione, non si fermano certo qui i possibili accostamenti tra i due pensieri. Forte dell’ottimismo tecnoscientifico, lo scienziato gesuita vedeva nello sviluppo della ricerca un’avanzamento verso una «cerebralizzazione collettiva» (Il posto dell’uomo nella natura. Il gruppo zoologico umano [1956], Il saggiatore, Milano 1970, p. 168), un punto di svolta in cui «il pensiero, che perfeziona artificialmente l’organo stesso del pensiero», (Il fenomeno umano, p. 336) giunge a oltrepassare il quadro della sua individualità. «La vita che rimbalza sotto l’azione collettiva della riflessione… Sì: il sogno che alimenta oscuramente la ricerca umana è, in ultima analisi, quello di riuscire a dominare, al di là di ogni affinità atomica o molecolare, l’energia fondamentale che tutte le altre forme di energia non fanno altro che servire; afferrare, tutti uniti, il timone del mondo, per impadronirsi della molla stessa dell’evoluzione.» (p. 336)
Considerata l’ultimo stadio evolutivo dalla coscienza, la noosfera corrisponde all’unificazione degli spiriti per mezzo della scienza e della tecnica. Su questo punto Teilhard de Chardin è alquanto esplicito. In Il posto dell’uomo nella natura redatto nel 1949, ovvero un anno dopo la pubblicazione di Cybernetics da parte di Wiener, fa direttamente riferimento a questa disciplina nascente. Vedendo nelle macchine cibernetiche la possibilità di “completare” il processo di cerebralizzazione, Teilhard accarezza il progetto di «perfezionare anatomicamente il cercello di ogni individuo.» (Ibid., p. 169) Come precisa a tal proposito Jean Onimus nella prefazione all’edizione francese de Il fenomeno umano, «Teilhard non è ostile a un certo eugenismo» che andrebbe nella direzione del processo evolutivo della coscienza. Questa idea di ottenere tecnicamente l’ominazione non preannuncia forse l’abbozzo di quel che diventerà un pensiero del postumano?
«Grazie al brusco pullulare dei mezzi ultrarapidi di viaggio e di trasmissione del pensiero, non si stanno forse moltiplicando attorno a noi le aree o gli isolotti psichici in cui, con la convergenza dei loro poteri riflessivi su uno stesso problema e con la medesima passione, i nuclei umani si organizzano in modo stabile sotto forma di complessi funzionali in cui è perfettamente legittimo, da un punto di vista schiettamente biologico, individuare una “sostanza grigia” dell’Umanità? E allora si affaccia allo spirito un’eventualità rivoluzionaria resa possibile dallo stesso gioco di questa innervazione sociale […] quella di un rimbalzo sistematico della ricerca sulla stessa intelligenza da cui emana: la cerebralizzazione collettiva (in ambiente convergente) che applica la punta aguzza della sua enorme potenza a completare e perfezionare anatomicamente il cervello di ogni individuo. Dapprima a completare. E a questo proposito, penso alle straordinarie macchine elettroniche (germe e speranza della giovane “cibernetica”) che sostituiscono la nostra capacità mentale di calcolare e di combinare, e la moltiplicano mediante un processo e in proporzioni che annunziano in questa direzione accrescimenti altrettanto meravigliosi di quelli forniti dall’ottica alla nostra visione. E successivamente a perfezionare il cervello. Il che può essere concepito in due modi: o con la messa in circuito di neuroni già pronti a funzionare, ma tuttora inutilizzati (come tenuti in serbo) in certe zone (già reperite) dell’encefalo in cui si tratterebbe solo di svegliarli, oppure (chi sa?) con la provocazione diretta (meccanica, chimica o biologica) di nuove organizzazioni.» (Il posto dell’uomo nella natura, pp. 168-169)
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Riferimenti 5.4