La Nave dei Folli #4.78 Matteo
Sull’onda della nascita del movimento contro la globalizzazione, Hardt e Negri si candidano a divenirne i principali ispiratori. Scritto fra il 1994 e il 1997, cioè dopo l’inizio della rivolta zapatista e prima della battaglia di Seattle, Impero – sebbene pieno di acrobazie, controsensi e talvolta brutali falsificazioni (come, d’altronde, il resto della produzione dei due) – preannuncia quella che sarà, nel trentennio a venire, la forma mentis e militantis della sinistra no-global. Infatti, dai gruppi più riformisti agli eredi di quella che in Italia fu l’autonomia (più o meno operaia) passando clamorosamente anche dai vituperati anarchici (o meglio, post-anarchici), in barba a differenze oramai più estetiche che sostanziali, la “moltitudine” degli autoproclamatisi ribelli, antagonisti, soggettività insorgenti e via narrando si forma e conforma a partire dalle mode politico-ideologiche rielaborate dal gatto e la volpe post-comunisti. Se la French Theory era una pappetta – dai gusti forti ma in fin dei conti insipida – cucinata nelle mense universitarie, ottenuta liofilizzando ingredienti ereditati dai numi tutelari di postmodernismo e poststrutturalismo, shakerando l’ultima produzione sociologica d’oltreoceano con l’aggiunta di qualche spezia cyberfemminista, l’intuizione del duo italo-americano è quella di innestarvi la sacra e sinistra tradizione italica che nel corso degli anni non si era eclissata, tutt’al più espatriata.
Già allora alcuni videro in questa operazione un puro e semplice tranello, una mano di vernice fresca data sulle mura decrepite di vecchi edifici teorici: secondo Claudio Albertani, si tratta di un «libro lungo e pieno di concetti oscuri come bio-potere, comando globale, sovranità imperiale, auto-valorizzazione, deterritorializzazione, produzione immateriale, ibridazione, moltitudine, e molti altri di difficile comprensione per lettori non iniziati», che per poter essere capito richiede «una certa familiarità con diverse scuole di pensiero: il post-strutturalismo francese, le teorie sociologiche nord-americane e l’operaismo italiano». (Impero e i suoi tranelli) Gran parte della bulimia intellettuale presente nella loro produzione è in realtà una trappola, un vortice di risucchio: infatti, pur prendendone le distanze e criticandone vari aspetti in modo formale, siamo di fronte alla riproposizione del marxismo-leninismo riveduto e corretto in salsa postuma(na), a un aggiornamento cibernetico del sistema operativo bolscevico. Seppur condannata a parole, si tratta della solita, vecchia ricerca dell’egemonia culturale, politica, strategica.
Dopo aver teorizzato l’esistenza di una nuova forma di governo imperiale priva di centro, vi contrappongono una resistenza altrettanto acefala, la moltitudine, che deve gran parte delle sue potenzialità proprio al fatto di essere figlia della civiltà cibernetica e come tale si candida alla conquista del potere e dei mezzi di produzione che sono sempre stati suoi. Dato che «l’ibridazione tra l’uomo e la macchina non procede più nei termini lineari che hanno segnato le vicende della modernità», si ipotizza che oggi «i rapporti di potere che hanno dominato le ibridazioni e le metamorfosi macchiniche possono essere rovesciati». Adesso capiamo che il nomadismo dei nuovi barbari secondo Hardt e Negri è più che altro virtuale, e mentre al sud del mondo si tratta di emigrazioni spaziali, fisiche, nel ricco occidente si tratta di metafore informatiche: «Le potenze scientifiche, affettive, linguistiche della moltitudine trasformano con estrema aggressività le condizioni della produzione sociale. La moltitudine si riappropria delle forze produttive con una metamorfosi radicale, come in una scena demiurgica. È una revisione completa della produzione della soggettività cooperante, una contaminazione e un meticciato con le macchine, di cui si era riappropriata, reinventandole completamente, la moltitudine. Si tratta, cioè, di un esodo che non è declinabile in termini esclusivamente spaziali, ma anche meccanici, nel senso che il soggetto si trasfonde in una macchina (nella quale ritrova la cooperazione che lo ha costituito e moltiplicato). È una nuova forma di esodo, un esodo verso (e con) la macchina – un esodo “macchinico”». (Impero, p. 341)
Si aprono le porte alla soggettività postumana, e da entità metaforica il cyborg inizia a militare nei ranghi della moltitudine. «Le nuove virtualità, la nuda vita del nostro presente, hanno la capacità di assumere il controllo della metamorfosi macchinica. Nell’Impero, la lotta politica sulla definizione della virtualità macchinica – e cioè sulle alternative del passaggio tra virtuale e reale – è il campo centrale delle lotte, poiché è il campo centrale della produzione e della vita che apre al lavoro un futuro di metamorfosi di cui la cooperazione soggettiva può e deve assumere il controllo sul piano etico, politico e produttivo.» (Ibid.) La sinistra postmoderna e post-anarcocomunista, dunque, trova nella figura del militante cibernetico il suo nuovo avatar, in quanto «agente della produzione biopolitica e della resistenza contro l’Impero»; ma gli autori tengono a specificare non trattarsi della solita vecchia figura del militante di partito o di organizzazione, questo è il passato, infatti nel nuovo mondo fluido e immateriale bisogna richiamare alla mente figure slegate dalla rigidità di dovere e disciplina, e quindi si pensa ai combattenti in Spagna o ai guerriglieri comunisti degli anni ’70, agli intellettuali antifascisti o ai Wobbly. Ecco la grande novità della militanza contemporanea: «essa recupera le virtù dell’azione insurrezionale maturate in duecento anni di esperienze sovversive, ma, nello stesso tempo, è legata a un mondo nuovo, un mondo che non conosce un al di fuori. La militanza conosce solo un dentro, la vitale e ineluttabile partecipazione al complesso delle strutture sociali senza alcuna possibilità di trascenderle. Il dentro è, allora, la cooperazione produttiva dell’intellettualità di massa e delle reti degli affetti, la produttività della biopolitica postmoderna. Questa militanza resiste nei contropoteri e si ribella proiettandosi in un progetto di amore. C’è un’antica leggenda che potrebbe illuminare la vita futura della militanza comunista: la leggenda di san Francesco di Assisi». (Impero, pp. 380-382) Amen.
Sommario 5.28
Riferimenti 5.28