La Nave dei Folli #4.79 Matteo
Potrebbe sembrare una forzatura il fatto di voler ricondurre quel poco che si agita – o meglio, agonizza rantolando – nel magma dell’antagonismo sociale alle vecchie, datate e ipoteticamente superate posizioni che fondarono quella sciagura politica chiamata Disobbedienti, uno degli ultimi prodotti novecenteschi della sinistra cibernetica. Le Tute Bianche, che parevano essersi dissolte al G8 di Genova tra i fumogeni della repressione e la fumosità dei loro propositi, grazie ad alcune abili mosse e camuffamenti, alla complicità non disinteressata di certe parti del “movimento” e ai voltagabbana di altre, sono risorte come cyberfenici dal coma farmacologico e oggi sfilano sul palcoscenico dell’opposizione mediatizzata come Tute Grigie, essendo cambiato il colore dopo un incauto lavaggio con certe divise del blocco nero. La loro rinnovata egemonia, o pretesa tale, trova conferma nell’avanzata subdola delle posizioni pro-cyborg e transfemministe, tecnofile e al tempo stesso impegnate in difesa dell’ambiente, proprio come preconizzato da Hardt e Negri. È bastato presenziare a un paio di saloni del libro indipendente e politico per notare il predominio incontrastato dell’ideologia post importata – almeno alle nostre latitudini – principalmente da Michael e Toni.
L’evento tenutosi poche settimane fa a Milano tra Calusca e Cox18, proponeva un palco di tutto rispetto dove si metteva in scena una finzione di quel dibattito che in realtà NON c’è, proprio perché con queste premesse NON può esserci (questo la abbiamo ripetuto al punto da risultare noiosi). Le vedette, chi più chi meno, sono accomunate dall’essere di estrazione universitaria, altro grande lascito della tradizione postmoderna, giacché a quanto pare la teoria politica è loro prerogativa esclusiva (d’altronde basta guardare la stragrande maggioranza dei libri editi). Si tratta di nomi che, chi più chi meno, provengono direttamente dalla tradizione della franco-italian theory, dalla papessa dell’eterotopia deleuziana al grande statista disobba propugnatore dei redditi di cittadinanza; e nel non dibattito si sono dati come argomento – almeno nelle intenzioni, giacché poi nel corso delle esposizioni hanno letteralmente divagato, passando di palo in frasca e riuscendo a dire più o meno niente e il contrario di niente – il massimo della riflessione attuale possibile. Il temibilissimo passaggio dalla società disciplinare made in Foucault alle società di controllo come individuata da Deleuze e di cui parlava nel Poscritto del 1990 (in Pourparler, pp. 234-241), che guarda caso era stato già affrontato paro paro proprio dai due gringos altermondialisti nel capitolo di Impero intitolato “Il biopotere nella società del controllo”. Siamo ancora e sempre allo stesso punto?
Nei prossimi episodi vedremo come l’ideologia paleo-postumana di Hardt, Negri e compagnia narrante, non soltanto continui a diffondersi e ad affermarsi tra le giovani e diversamente vecchie leve di un fantomatico movimento che sembra la clonazione riproduttiva della moltitudine, ma financo faccia breccia e furore – ennesimo paradosso di una civiltà che ha smarrito senso e significato – tra gli ipotetici anarchici e libertari che queste tendenze egemoniche, alter-governative e contropotenti dovrebbero per natura disprezzare e combattere.
Sommario 5.29
Riferimenti 5.29