
Intervista a Olga Chajdas Fly
22 febbraio 2025
Fly si è recato al Seeyousound festival (edizione numero 11) per intervistare Olga Chajdas, regista di “Imago” uno dei numerosi film in anteprima italiana di questa edizione.
Un film “rumoroso”, come definito dalla stessa Chajdas prima di iniziare la proiezione.
Prima di iniziare, grazie mille per il tempo chi ci hai concesso! “Imago” è un film ambientato negli anni ’80, ma che ci può raccontare molto del nostro oggi. Girato nel 2023, quando in Polonia al governo c’era l’estrema destra: quanto la situazione politica del paese ha influenzato il vostro lavoro? E quanto questo film può raccontarci qualcosa sul nostro tempo?
Prima di tutto, grazie: mi fa molto piacere essere qui. Il mio obiettivo principale non è mai quello di essere politica. Sia questo film, sia il precedente, “Nina”, non erano pensati per combattere. Ma alla fine i film trovano il proprio posto nel proprio tempo.
Ovviamente, avevamo scritto la sceneggiatura tempo prima e non pensavamo che i diritti delle donne fossero qualcosa di cui avremmo dovuto ancora parlare oggi. A quanto pare, invece, sì, e dobbiamo continuare a ricordare a noi stessi che la scelta non è mai semplice e le scelte che hanno fatto le nostre madri e che facciamo noi sono solo nostre.
Questo non è discorso che riguarda solo l’aborto, ma il nostro essere, come ci sentiamo con noi stesse, la nostra identità. Non importa che stiamo parlando dell’ambito sociale o personale: è solo una nostra scelta.
Prima del film, come warm-up, mi sono ascoltato un po’ di classici della musica polacca. Nello specifico un brano dei Siekiera…
Ah, sì! I Siekiera erano proprio tra le ispirazioni del film: grandi.
…perché mi sembra che possa riassumere molto bene il tuo film: “Ja Stoję, Ja Tańczę, Ja Walczę” [Nda. qui dopo una piccola discussione, Olga chiede di tradurre il titolo per gli ascoltatori. Riportiamo anche qui la traduzione: “Io sto, Io ballo, Io lotto”]
Questa canzone pur non essendo un brano della colonna sonora, può riassumere bene il film, no?
Sì! Perché [questo film] è un urlo per la libertà. Ma anche per il divertimento. Tutto non deve essere politico. Alcune volte il punto è semplicemente divertirsi. Per me, fare film significa divertirsi.
La vita è già così dura di per sé, che tanto vale godersela!
Rispetto al “divertimento” che traspare da questo film, la sensazione che lascia è quasi quella di un concerto o, comunque, di una situazione “rumorosa” e onirica. In essa, però, fa talvolta capolinea con un “BAM” la realtà, lasciandoti profondamente scosso.
Penso ad esempio alla scena del tentato stupro ai danni della protagonista. Volevi generare questa sensazione nel pubblico, questo mix tra sogno e realtà?
Sai, è sempre interessante parlare con le persone dopo i film. Lo hai detto tu prima: è una specie di “trance onirico”. E mi piace che le persone provino queste emozioni dopo aver visto il film.
Ovviamente, come regista, non studio mai in anticipo quali emozioni dovranno provare le persone: io, prima di tutto, sono una storyteller.
Per me, la storia e i personaggi della storia raccontano qualcosa e le emozioni che ne derivano è qualcosa che voi, come pubblico, dovete creare. Mi piace sempre quando le persone provano queste emozioni forti, come dicevi tu prima, che ti scuotano: penso che sia il miglior premio a cui possa ambire!
Una sorta di pizzicotto per il pubblico!
Sì, penso che siamo stati comodi per troppo tempo e penso che i film possano essere un po’ “scossi”.
Un altro aspetto legato alla musica è questo “Effetto Sala Prove”. C’è una scena molto bella, in cui vediamo Ela, la protagonista, che arriva in sala prove per provare con la band. E si vede proprio quello che accade in una sala prove: qualcuno attacca con un riff di chitarra, un altro gli va dietro, ecc.
Beh, sì. Tieni sempre presente che il compositore della colonna sonora è un musicista. Quindi, si è proprio cercato di rendere quelle situazioni nel modo più realistico possibile.
Quello che mi chiedo è se anche in questo sia possibile leggerci una metafora legata alla vicenda della protagonista, che sta cercando di trovare qualcosa…
Lei è un’artista. E sta cercando un modo per esprimere se stessa, che sia la fotografia, la musica, o la pittura. È importante esprimere se stessa.
Credo che sia importante per tutti trovare la propria voce. E questa sala prove riguarda questo aspetto: puoi creare qualcosa dalle piccole cose.
Portando avanti la metafora, uno dei primi rumori che ascoltiamo nel film è una sorta di “ommm”…
Sì, la protagonista che fa joga: “ummm”…
..che, personalmente, mi ha dato quasi l’effetto di un diapason. Come se Ela stesse cercando la propria intonazione. Perché, lo abbiamo detto prima, c’è questo equilibrio tra realtà e libertà che non sempre sono due concetti che vanno d’accordo tra loro. C’è secondo te questa sorta di ricerca di una “frequenza”, un’intonazione con la realtà?
Sì, mi piace questa definizione. Te la ruberò: la prossima volta che mi chiedono di questo, dirò esattamente questo!
Una domanda rapida rispetto al genere musicale che tu e Smolik avete scelto di utilizzare per raccontare questa storia: il post-punk. È interessante, secondo me, perché oggi ci sono molte band che arrivano da paesi ex-socialisti (Molchat Doma, Ploho, ecc.) che hanno ripreso proprio quel tipo di genere. Secondo te, c’è qualcosa all’interno di questo specifico genere che è in grado di permettere di esplorare noi stessi?
Prima di tutto, storicamente è corretto usare questo tipo di genere, perché era quello il genere alternativo dell’epoca e ciò che è fondamentale da capire è che molti dei ragazzi che suonavano questo genere non hanno mai fatto scuole di musica.
Il punto non era essere gentili o appropriati. Il punto, appunto, era la ricerca della propria frequenza, in modo da poter esprimere se stessi. Negli anni ’80 questo passava dagli urli, non tanto per ribellione contro il sistema politico, ma per ribellione contro tutto, perché dovevano trovare il proprio posto nel tempo e nello spazio.
E oggi questo ha lo stesso significato, ogni volta che ci sono persone che vogliono dire qualcosa e non hanno un’educazione [musicale] per questo.
L’ultima canzone riguarda di nuovo una canzone: secondo te, quale canzone, parte della colonna sonora o meno, può riassumere al meglio il film? Una canzone che, idealmente, possiamo far partire alla fine di questa intervista.
Uhm, interessante! L’editor del film, Pavel Hrdlička, è anche un musicista. La sua band, Mig 21, ha questo brano “Svoboda [není levná věc]” ed è interessante: è la prima canzone che mi è venuta in mente!
Grazie mille a Olga Chajdas per la disponibilità e allo staff e all’ufficio stampa di Seeyousound per l’aiuto. Spero che tornerai presto a Torino!
Grazie a voi!
Elenco dei brani trasmessi
Sottofondi musicali