La Nave dei Folli 4.19 fraontheblock
Episodio 4.19
La derealizzazione, che può essere chiamata anche estetizzazione, può avere un limite? Dato che si è ancora vincolati a concepirla come «un grande velo rosato che ricopre il mondo delle merci, delle informazioni addomesticate», modellata sulla rotondità conciliante che contraddistingue l’ideale di bellezza classico, per Vattimo questo limite è l’assenza di ogni conflittualità, spiegabile con le esigenze di quell’agente realistico che è il mercato: «ciò che non va del mondo della “irrealtà” mediatica non è la perdita del riferimento al reale, ma il fatto che, in essa, il reale si fa ancora troppo, e indebitamente, valere.» Già alfiere della dissoluzione della verità Vattimo si muove «nella direzione di una liberazione della interpretazione dalle pretese, che non possono non essere false, della “realtà”.» In questo recupero del carattere conflittuale dell’esteticità vorrebbe avvicinarsi a Marcuse, con la differenza che «l’emancipazione a cui si pensa dal punto di vista “nichilistico” nel quale mi pongo, è il mondo del conflitto delle interpretazioni, e non il mondo conciliato dei “figli dei fiori” dei rivoluzionari californiani del 1968».
Per quanto finga di criticarlo, Vattimo considera positivo lo sviluppo del capitalismo che si stava smaterializzando con la finanziarizzazione e ricomponendo su basi elettronico-mediatiche. Il suo abbaglio, o forse strategia, consiste nell’ipotizzare uno scontro tra un principio di realtà, che sarebbe appannaggio dell’economia con modalità analoghe ai fondamentalismi di ogni tipo, «una sorta di reazione di agorafobia, una nostalgia per il ritorno a orizzonti limitati ma certi, come quelli della famiglia, della comunità locale, dell’etnia, della setta religiosa», da un lato. E dall’altro un movimento conflittuale dovuto alla derealizzazione con un «esito “positivo” – emancipativo, liberante, desiderabile – (…) inaugurato dalla nascita della società dei mass media (…) la liberazione della pluralità delle interpretazioni e l’estetizzazione tendenzialmente totale dell’esperienza umana del mondo».
Vattimo nega di accettare il mondo così com’è (anche se poco oltre confessa di essere «conforme alle concrete trasformazioni storiche») e vuole venderci il suo pensiero come un tentativo di ridurre il dominio “realistico” dell’economia. «È in fondo il sogno stesso che si delineava nell’opera di Marx: non considerare più le leggi economiche come leggi “naturali”, costruire una società non più fondata sulla lotta per la sopravvivenza.» Si profila all’orizzonte un altro ambito da distruggere, pardon decostruire, quello della natura, che al pari della realtà e della verità (tutte con la maiuscola, ovviamente) sarebbe ancora legato a una concezione classica dell’emancipazione, la stessa che imprigionava Marcuse il quale «mirava alla restaurazione di una specie di soggetto “naturale”, reso bensì possibile dalla tecnologia moderna, ma non sostanzialmente modificato da essa.»
Malgrado le acrobazie intellettualistiche tipiche dei professionisti delle ideologie, il futuro politico fluido e parlamentare europeo nonché squallido alleato di un movimento NoTav in decomposizione, difficilmente può nascondere la sua complicità con i poteri forti e il progetto post-umano a cui, secondo il verbo già professato negli anni ’80 dalle nuove sinistre in via di globalizzazione, «si oppongono resistenze residuali, nostalgie realistiche, bisogni nevrotici di orizzonti rassicuranti e disciplinanti.» Il sogno del mondo informatizzato e derealizzato covato da larga parte dei poteri mondiali è a portata di mano: non solo «la produzione di merci ormai da un paio di secoli deve creare artificialmente i bisogni da soddisfare, che dunque hanno sempre meno un ancoraggio realistico nella natura umana; ma, soprattutto, oggi molte tecnologie nate in vista di scopi, in generale, “economici”, o di utilità, vengono fatte servire, e non solo marginalmente, a scopi “ludici”, di soddisfazione estetica. È il caso delle tecniche della realtà virtuale, sorte molto spesso in funzione di esigenze militari o paramilitari (…) che sempre più massicciamente si trasformano in elementi dell’industria del divertimento.» (Gianni Vattimo, La società trasparente, pp. 113-119)
Principale teorico assieme a Pier Aldo Rovatti del pensiero debole, Gianni Vattimo incarna le derive della postmodernità e con le sue posizioni ambigue fa da padrino al post-uomo che la cibernetica stava forgiando. La parabola che l’ha portato dalla militanza liceale in Azione Cattolica all’adesione al Partito Comunista, passando per i radicali e i Democratici di Sinistra, lo ha visto anche parlamentare europeo nelle fila dell’Italia dei Valori di Antonio di Pietro. Il programma che l’ha fatto eleggere al Parlamento europeo riassume bene questa figura di “comunista cristiano”: «La laicità è il frutto migliore e più maturo del messaggio cristiano. Solo un’Europa laica che ascolti e riconosca le differenze, che sia libera di legiferare nel rispetto della pari dignità di ciascuno, singoli e comunità, può dar vita a una società giusta e solidale. Allo Stato etico voluto dal Vaticano si può opporre solo un’Europa che difenda la legittimità delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali, che promuova la libertà di ricorrere alla fecondazione assistita e di decidere sulla propria vita e sulla dignità della morte, che liberi la ricerca scientifica dal dominio dell’oscurantismo.» Amen.
Sommario 4.19