La Nave dei Folli #4.22 Matteo
Episodio 4.22
Il decentramento filosofico denunciato da Arendt è, in larga parte, il frutto della rivoluzione cibernetica. C’è bisogno di ricordare, per convincersene, che il punto di partenza del modello elaborato da Wiener è l’entropia, intesa come principio universale indipendente da qualsiasi realtà terrestre e umana? Non si tratta di negare che la scienza moderna, nel suo insieme, sia partecipe di questo ribaltamento, piuttosto di constatare che il paradigma cibernetico ha nutrito la filosofia e le scienze umane: così, non deve sorprendere che lo spostamento degli obiettivi tecnologici in logica evoluzionista, anticipato da Arendt, sia il punto di partenza delle affermazioni di Lyotard contenute in L’inumano. Divagazioni sul tempo del 1988. Circa dieci anni dopo la comparsa di La condizione postmoderna, Jean-François Lyotard s’interroga sulla razionalità sistemica che tende a imporsi nel mondo occidentale. Malgrado l’ambiguità della sua posizione, in questa raccolta di saggi dimostra di essere uno di quelli che più chiaramente ha colto la posto in gioco legata al paradigma cibernetico.
Consapevole del decentramento operato dalla logica dell’informatica, ne abbozza il quadro seguente: «La rete elettronica e informatica che si estende sulla terra dà vita a una capacità globale di memorizzazione che bisogna considerare su scala cosmica, senza una misura comune con quella delle culture tradizionali. Il paradosso che implica questa memoria risiede nel fatto che in fin dei conti essa è la memoria di nessuno. Ma “nessuno” in questo caso vuol dire che il corpo che sostiene questa memoria non è più un corpo terrestre. I computer continuano a poter sintetizzare sempre più tempo (più “volte”) di modo che Leibniz avrebbe potuto dire che questo processo sta per generare una monade molto più “completa” di quanto l’umanità stessa sia mai potuto esserlo.» (J.-F. Lyotard, L’inhumain. Causerie sur le temps, Galilée, Paris 1988, p. 76)
Questo rovesciamento dell’orizzonte antropologico corrisponde secondo Lyotard al passaggio dal tempo umano al tempo cosmico. Sotto forma caricaturale, illustra questo passaggio nel fatto che «la specie umana è già presa dalla necessità di dover evacuare il sistema solare entro quattro miliardi e mezzo d’anni.» Lungi dall’apparire come il centro dell’universo, l’umanità non sarà stata altro che «il veicolo transitorio di un processo alquanto improbabile di complessificazione.» (p. 76)
La prospettiva decentrata del sistema tecnoscientifico mira perciò per Lyotard a disincarnare l’intelligenza umana affinché possa eventualmente portare avanti il processo cosmico di complessificazione differenziale che l’ha generata. Seguendo tale prospettiva, tutto il programma di ricerca ereditato dal paradigma cibernetico (informatica, intelligenza artificiale, robotica, scienze cognitive, biogenetica eccetera) sembra tendere alla creazione di una “intelligenza senza corpo”, o piuttosto senza corpo mortale. Di fronte a un simile inumano, Lyotard propone di opporre l’inumano del corpo, dell’infanzia, dell’arte e della scrittura dove l’essere umano appare sempre come l’altro da sé. (p. 22)
Appoggiandosi su Heidegger, Lyotard interpreta lo sviluppo tecnoscientifico come il finale della metafisica occidentale. Sebbene ne denunci l’inumanità e il carattere ideologico, sembra nondimeno concedere al processo di complessificazione un’ineluttabile efficacia. Parlando della logica del capitale che, secondo lui, è prima di tutto il prodotto del processo occidentale di razionalizzazione che un fenomeno economico e sociale, precisa: «Sembra pertanto che il motore “ultimo” di questo movimento non appartenga essenzialmente all’ordine del desiderio umano: consiste piuttosto nel processo di negantropia che sembra “lavorare” lo spazio cosmico abitato dalla specie umana.» (pp. 82-83)
Se si segue Lyotard, il compimento della metafisica, tramite il processo di razionalizzazione, avrà dunque concorso a imporre alla società umana una logica di complissificazione “cosmica”. Di fronte all’inumanità di un programma simile, non possiamo rispondere altrimenti che aprendoci all’evento, alla differenza, all’inafferrabile di ciò che c’è di inumano in noi. Una tale impostazione trasparirebbe, secondo Lyotard, «nella problematica derriddiana della decostruzione e della differanza» così come nel «principio deleuziano di nomadizzazione». (p. 86) Secondo la nostra prospettiva possiamo concludere che, spinto nelle sue trincee filosofiche, il paradigma cibernetico conduce a una moralità dell’ineluttabile dove l’inumano regna.
Sommario 4.22