La Nave dei Folli 4.28 fraontheblock
Episodio 4.28
Il debito di Peter Sloterdijk nei confronti del paradigma cibernetico è reso esplicito nel saggio intitolato “La domesticazione dell’essere” (2000). Qui, dopo una lunga e interessante riflessione sulla auto-formazione dell’uomo, o antropogenesi, in cui riprende alcune intuizioni di Heidegger sull’importanza del luogo della dimora, dell’abitare nel mondo, quella serra che Sloterdijk definisce anche “sfera” in cui si sarebbero presentate le condizioni per l’auto-addomesticamento, nel paragrafo conclusivo introduce il concetto di omeotecnica per provare a spiegare le novità prodotte dall’apparire all’orizzonte dell’umanità delle possibilità offerte dalle manipolazioni genetiche.
Secondo Sloterdijk oramai da tempo si era intuito quel terzo polo che sta tra lo spirito e la materia, tra i pensieri e le cose, tra soggetto e oggetto; ma solamente grazie all’apporto della «cibernetica, in quanto teoria e prassi delle macchine intelligenti, e la moderna biologia, come studio delle unità-sistema-ambiente» è stato possibile produrre «una nuova descrizione dell’“artificiale” e del “naturale”. Sotto la pressione dei nuovi processi, il concetto di “spirito oggettivo” si muta nel principio dell’informazione.» (Peter Sloterdijk, “La domesticazione dell’essere”, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, 2004, p. 171)
Dire che “c’è informazione” equivale a dire che ci sono sistemi, memorie, culture, intelligenza artificiale. Il balzo del principio di informazione nella sfera della natura ha fatto venir meno alcune distinzioni come quella tra soggetto e oggetto, io e mondo, individuo e società: perciò «con la presentazione di memorie realmente esistenti e di sistemi auto-organizzatisi, la distinzione metafisica tra natura e cultura diventa casuale, poiché entrambe le parti della distinzione rappresentano solo situazioni regionali dell’informazione e del suo processamento.» (p. 172) Per Sloterdijk siamo dunque di fronte a una revisione di questa separazione storica e tradizionale dell’ente in soggettivo e oggettivo, ponendo «da una parte lo spirituale, ciò che ha a che fare con il sé, l’umano; e dall’altra il cosale, il meccanico, il disumano» (p. 172-173) e definisce signoria l’applicazione pratica di questa distinzione per evidenziare il dominio del primo sul secondo.
Le cose cambiano a partire dal periodo che definisce illuminismo tecnico, quando la costruzione delle macchine, o protetica, fa apparire insostenibile questa partizione perché, come già sottolineato da Gotthard Günther, «attribuisce al soggetto e all’anima una sovrabbondanza di qualità e capacità, che in verità stanno dalla parte del meccanismo, e contemporaneamente nega alle cose o ai materiali una quantità di qualità che esse innegabilmente possiedono a uno sguardo più attento.» Correggendo questi errori tradizionali si comincia perciò a capire «che (e come) la “materia informata” o il meccanismo più sviluppato possono produrre prestazioni parasoggettive, fino a simulare intelligenza progettante, capacità di dialogo, spontaneità e flessibilità.» E viceversa «numerose manifestazioni delle istanze tradizionali di soggettività e di anima, erano solo dei meccanismi sovrainterpretati.» (p. 173)
Con il procedere dell’evoluzione tecnologica, per Sloterdijk la cittadella della soggettività non è più assediata solamente da decostruzioni simboliche (tra cui cita i sistemi mistici e lo yoga, la teologia negativa e l’ironia romantica), ma anche materiali come nel caso della regolazione della sensibilità spirituale con l’aiuto di sostanze psicotrope (sia nel caso delle millenarie culture della droga sia nella più moderna psichiatria occidentale), e ben presto si giungerà alla «introduzione di contenuti di idee e vissuti attraverso sostanze noótrope», conosciuti anche come smart drug, farmaci intelligenti, ovvero sostanze che aumenterebbero le capacità cognitive umane. Tuttavia è nelle tecnologie genetiche che si mostra l’estensione più spettacolare del meccanico al campo soggettivo, che un tempo sembrava autonomo: «la condizione fondamentale per l’irruzione della tecnica nel campo immaginario del “soggetto” o della “persona”, di cui l’uomo ha paura, è da ricercarsi in parte nel fatto che anche dalla parte del cosiddetto oggetto, nella struttura materiale di base del vivente, così come la si trova nei geni, viene trovato qualcosa che è appena concreto, materiale (…) ed è piuttosto una forma di informazione informata e informante, ridotta al minimo di materia. I geni sono, come ci dicono i bio-informatici, nient’altro che dei “comandi” per la sintesi delle molecole proteiche”.» (p. 174)
Come risultato il soggetto non ritrova né sé stesso, come era abituato a rappresentarsi nelle tradizioni morali, né le cose come erano viste tramite la lettura quotidiana del mondo o attraverso l’atteggiamento scientifico, ritrovandosi «di fronte al caso limite dell’antiumanesimo: accade come se nella biotecnica attuale si venisse a creare il contrasto più acuto con il programma umanistico e olimpico del soggetto umano, o della persona spirituale, di appropriarsi del mondo facendone la propria patria e integrando l’esteriorità del mondo nel sé. Oggi sembra piuttosto che il sé debba inabissarsi senza resti nella cosalità ed esteriorità, e lì debba perdersi.» (p. 174-175)
Sommario 4.28