La Nave dei Folli #4.40 fraontheblock
Episodio 4.40
A St. Imier, una piccola cittadina del Giura svizzero che centocinquant’anni fa ospitava l’Internazionale antiautoritaria, a luglio è andata in scena l’ultima mascherata dell’anarchia. Questa nobile idea, da ardente fiaccola che ha ispirato resistenze e insurrezioni pare essersi quasi definitivamente trasformata nel suo contrario, diventando una parola di plastica che come una saponetta sfugge di mano scivolando orwellianamente nel suo contrario. Agli “Incontri internazionali anti-autoritari”, in un’atmosfera più vicina al festival dell’Unità che all’adunata sediziosa, per di più colma di paranoia, sospetto e risentimento, l’ideale del non-governo si è dimostrato governato da terribili forme di regressione, sociale, politica e umana. Purtroppo, non è una novità.
In mezzo a copiose dosi di libertarianesimo con rivendicazioni di sovranità digitale a colpi di criptomonete e introspezioni new age per curare il karma di anime affrante da una schiacciante sensazione di oppressione o impotenza, al fianco dei soliti barbuti e degli inossidabili punk a chien (che l’italiano rende in tono dispregiativo con punkabbestia) spiccava come corrente maggioritaria l’ultima cucciolata dell’antagonismo mondializzato, quell’ideologia queer che da anormalità nemica di ogni coercizione si va trasformando in normalizzazione coatta.
Oltre a una lunga serie di piccole grandi miserie, come l’instaurazione di un servizio d’ordine con il compito di mantenere pace, armonia e good vibrations tra i pellegrini dell’anarchia (o forse dovremmo definirli clienti?) convenuti a St. Imier – riattualizzando così il solito vecchio sogno bolscevico di egemonia a colpi di manganello – o il consolidarsi della neolingua che trasforma desinenze, moltiplica pronomi e aggettivi e si fa gergo autoritario, e linguaggio dell’autorità, tra micro-narrazioni e brand che invece di spiegare e criticare i fatti si limitano a enumerarli, trasformandoli in informazioni nella migliore tradizione cibernetica, a essere presa di mira è stata per l’ennesima volta la cultura, o quel che ne resta.
Un banchetto di libri di una federazione anarchica francese è stato fatto oggetto di molteplici attacchi perché, pensate un po’, ha osato esporre dei libri che criticano l’islam! Immemore o, peggio, schifando l’intramontabile tradizione di ateismo che caratterizza l’anarchia e la sua lotta contro le religioni (perlomeno fino a che il mondo non è stato ribaltato assieme ai significati e al senso) sentendosi dogma e in quanto tale messo in discussione, la nuova corrente postumana, in questo caso post-anarchica, ha scatenato il putiferio, rubando e dando alle fiamme i volumi incriminati, vessando e molestando nel nome della lotta a tutte le oppressioni, che nel linguaggio cyborg si traduce intersezionalismo.
Chiunque osi mettere in dubbio i capisaldi del bispensiero sinistro, molto poco anarchico e che noi fatichiamo a non definire stalino-leninista, chiunque si schieri contro la riproduzione artificiale dell’umano o addirittura contro la peste islamica (che poi altro non è che una prosecuzione del pensiero giudaico-cristiano) si trova a fare i conti con questi armigeri dell’autonomia (ma ciberneticamente eteronormata) che agiscono indisturbati, non ci stancheremo mai di ripeterlo, grazie al silenzio complice e forse interessato di tutti gli altri, che o fanno i finti tonti o si girano dall’altra parte.
Non tutti, certo, ma sono sempre più le persone che – più per quieto vivere che per convinzione – deragliano verso un’ideologia che dietro la divisa da alternativi si rivela tutt’altro che libertaria, dedita alla sopraffazione e alla conquista dell’egemonia. Specchio di quella tecnologia fuori controllo di cui sogna di impadronirsi per poterla autogestire, controfigura di quel potere o dominio che pretenderebbe combattere e che invece non fa che replicare su piccola, microscopica scala, la tendenza queer dimostra di avere il duplice obiettivo di deviare la critica radicale e creare scompiglio all’interno del campo dei ribelli.
Eppure, dichiarando di agire in nome di quel che in alcuni contesti chiamano empowerment, ma che per noi è il solito, vecchio, odioso relitto del contropotere, svelano la loro profonda e reale natura di autoritari, sabotatori anti-anarchici che in questo modo fanno il gioco proprio di quel capitalismo contro cui si gargarizzano di combattere ma di cui hanno fatto il proprio feticcio, quasi un alter ego, trasformandolo nell’ennesima parola di plastica utile a vendersi sul mercato spettacolare dell’antagonismo mimato e mimetico.
Camaleontici come il capitale che li finanzia più o meno direttamente (come nel caso dei vari gruppi giustizialisti climatici), costoro andrebbero rispediti negli ambienti di loro pertinenza, partiti e associazioni di sinistra, centri sociali e collettivi studenteschi con la kappa, tra le fila dei nuovi disobbedienti che da quando hanno fagocitato alcune tendenze anarchiche – spesso con l’idiota complicità di queste ultime – sono diventate le odierne, tristi e sempre più compromesse tute grigie.
Come ripetiamo da molto, troppo tempo dalla stiva della Nave dei Folli, è fondamentale e urgente un incontro-confronto tra chi non accetta questo sfacelo. È una questione di sopravvivenza dell’area cosiddetta anarchica, presunta libertaria, che forse dovremmo iniziare a definire acrata per distinguerla da questa impostura: in ballo c’è la possibilità di poter ancora scalfire l’edificio della coercizione tecnologica e della prepotenza mercantile, e ne va della dignità e credibilità di un’idea certo difficile da mettere in pratica ma non per questo disprezzabile.
Dedicheremo la prossima puntata, questa volta definitivamente ultima, della Quarta Stagione a sviscerare quanto accaduto a St. Imier, e non solo, nella speranza di fomentare un dibattito non più rimandabile sulle condizioni e possibilità di contrasto alla deriva autoritaria degli ambienti radicali.
Sommario 4.40
Riferimenti 4.40