La Nave dei Folli #4.63 Matteo
Formatosi a San Francisco dopo un’esperienza sulle spiagge di Goa nel 1993, il Consortium of Collective Consciousness (CCC) era un gruppo organizzatore di rave che propagandava la teoria dell’evoluzione proposta da Judith Anodea in The Wheels of Life (1987), che vedeva l’umanità entrare nell’Età del Quarto Chakra, quello corrispondente all’Aria ovvero al risveglio della coscienza, e ben presto diventò un’omonima casa editrice specializzata in testi legati all’esoterismo e alla New Age tuttora attiva. In un testo del 2001 dichiarava: «Balliamo per ore e ore andando incontro agli aspetti del nostro karma personale, del karma dell’umanità, trascendendo strato dopo strato come una cipolla finché tutti i danzatori scompaiono e rimane soltanto la danza (…) È una semplice coincidenza che questa riconnessione profonda, ispirata, avvenga adesso, nell’ombra incombente di un mondo che si è ammalato a causa di sovrappopolazione, degrado ambientale e corruzione? Oppure è una manifestazione divina, che nel momento più cruciale dona a quello sciamano collettivo che è l’umanità una visione di consapevolezza dell’amore interconnesso?» Il CCC, la cui esistenza era possibile grazie alla tecnologia della comunicazione e a biglietti aerei a basso costo, conclude : «Forse siamo la prima tribù globale della terra… che si sparge attorno al pianeta intero e lo circumnaviga.» (“Trance Parties”, citato da Graham St John, “Techno millennium. Dance, ecology and future primitives”, in Rave Culture and Religion, Routledge, London/New York 2004)
I momenti di raccolta di questo network internazionale di raver autoproclamatasi “tribù dell’arcobaleno fluorescente” sono raduni che celebrano non solamente i cicli lunari ma anche le eclissi solari, come avvenne in Zambia nel 2001 per il Solipse Festival o in Australia l’anno seguente con l’Outback Eclipse, per fare solo due esempi. Molto diffusa era la consapevolezza di vivere la fine di un’epoca, di cui uno dei segnali più espliciti era ravvisato negli eventi dell’11 settembre a New York; infatti la rete delle techno-tribù promosse una campagna per il “Tempo Nuovo”, concretizzatasi a partire dal Boom Festival portoghese del settembre 2002, allorché il network di arte planetaria “Caravan for the New Time” creò una “zona del tempo naturale”, ovvero una cupola dal diametro di 10 metri circa circondata da un villaggio di tipì dove, tra meditazioni e cerimonie universali in onore delle direzioni, negozietti dove giocare al calendario Dreamspell di Argüelles e decodifica del proprio passaporto galattico, i partecipanti potevano scoprire la loro “mappa astrale”.
Dopo che il governo inglese vietò l’accesso ai monumenti tipo Stone-Henge, divenuti meta delle celebrazioni delle tribù New Age, il collettivo londinese Mutoid Waste Co (MWC) iniziò a costruire dei Car-Henges, sculture fatte di materiali riciclati principalmente da automobili che iniziarono a essere innalzate durante i raduni in sostituzione di quelle originali ormai proibite, a partire dal Glastonbury Festival del 1987, spostandosi l’anno seguente ad Amsterdam, poi in Italia (dove una parte di loro si fermò creando una comune dei Mutoidi in Romagna) continuando negli anni Novanta fino ad arrivare, agli inizi del Duemila, in Australia. Mentre l’accesso alle pietre sacre ritornò a essere possibile dal solstizio estivo del Duemila, sotto lo slogan dell’MWC “Mutate and Survive”, queste sculture post-industriali sono diventate dei punti di riferimento per i tecno-nomadi internazionali. Collocate in territorio australiano da uno dei fondatori dei Mutoidi, Robin Cooke, queste installazioni sono diventate icone per i nuovi attivisti che erano invitati a piantarvi sopra le proprie bandiere e simboli, ed erano considerate dei portali da cui potevano transitare i primitivi del futuro. Plane Henge fu costruito durante Earthdream2000, un carnevale nomade che da maggio a settembre radunò nell’Australia centrale migliaia di viaggiatori da oltre venti nazioni, che Cooke immaginava come un raduno mega-tribale annuale in attesa del fatidico 21 dicembre 2012.
Sempre in Australia, il londinese Peter Strong fondò a Sydney la techno-tribe Ohms not Bombs, un sound-system nomade che mescolava atteggiamenti della cultura DIY anarcho-punk con il movimento dei viaggiatori New Age e la potente influenza della tradizione dei sound-system delle comunità giamaicane emigrate in Inghilterra. Obiettivo di questo progetto di intrattenimento educativo era «sintonizzare la tecnologia con l’ecologia, DJizzare la nostra anima con gli straordinari ritmi della natura: (…) co-creando magia questa terra è restituita all’antica e magica catena di saggezza. Unendo le nostre intenzioni possiamo mettere in moto un enorme processo di cura. (…) Aiuta a installare un sound system per tutti, unisciti a Earthdream, sostieni la sovranità aborigena e contribuisci a far ballare la nazione fino alla rave-olution.» La riconciliazione con i nativi è una questione che ritorna spesso nei discorsi e nelle pratiche delle techno-tribe australiane; in occasione dell’Earth Stomp promosso dalla Tribe of Gaia a fine anni Novanta, dopo una cerimonia di benvenuto da parte degli anziani Wardani, i partecipanti avrebbero affrontato «un risveglio collettivo e un’unificazione della coscienza umana a un livello più ampio di interconnessione con Gaia».(Rowe and Groves (2000) “Earthstomp 99”, in Alternative Australia: Celebrating Cultural Diversity, Enabler Publications 2000, p.159). Secondo Rowe e Groves, «la tecnologia può essere adoperata negli interessi della Terra. Il suono è una potente forza quando arriva per accendere i campi energetici umani, ha la capacità di farti muovere. Adoperiamo la tecnologia per sincronizzare Terra, Corpo, Mente e Spirito.» (Ibid., 160).
Concludiamo questa parentesi ritornando negli Stati Uniti dove, a 120 miglia dalla città di Reno nel mezzo del Black Rock Desert del Nevada, ogni anno, a partire dal 1985, per una settimana si crea una comunità attorno all’effige del Burning Man, all’inizio formata da sparuti gruppi provenienti da San Francisco ma che con gli anni ha dato vita a uno dei raduni più famosi al mondo. Larry Harvey, uno dei due ideatori, spiega come la sua nascita sia strettamente legata al cyberspazio: preso atto che la tecnologia cibernetica stava trasformando il mondo liberando le persone dalle costrizioni spaziali e temporali, e che questa liberazione stava mostrando alcuni aspetti oscuri, si trattava di recuperare quelle forme comunitarie uniche in grado di creare cultura «nelle condizioni attuali della nostra società postmoderna. In mezzo a un deserto selvaggio edifichiamo una città. (…) Questa comunità virtuale (…) si forma a immagine del mondo (…) che ci circonda: una popolazione brulicante di individui sradicati. (…) questa comunità intenzionale che abbiamo creato dal nulla, e che quando ce ne andiamo ritorna al nulla, è stata “liberata” da pressoché ogni ambito della vita quotidiana. Come il ciberspazio, è una frontiera in cui gli individui possono esercitare notevoli libertà. Il nostro mondo desertico e la vuota distesa della sua spiaggia – ovvero, La Playa, nome dato alla distesa di sabbia in cui si svolgeva l’evento – formano un’arena decontestualizzata di azione. Qui è possibile reinventare se stessi e il proprio mondo con l’ausilio di poche modeste scenografie e un’immaginazione attiva. Il Burning Man, quindi, è un convincente analogo fisico del ciberspazio, e abbiamo attratto molte persone che considerano quest’esperienza come un’equivalente di una realtà basata sulla cibernetica.» Malgrado le similitudini, Harvey sottolinea quelle che sono le differenze sostanziali tra i due mondi: il Burnign Man non è anonimo, non ha bisogno di mediazione e soprattutto è ancorato nella materialità che emerge dalla dure condizioni di sopravvivenza in un ambiente ostile come il deserto, e dall’attrazione fisica verso il fuoco. Il fantoccio rituale, visibile a distanza e che unisce simbolicamente la terra e il cielo, unito all’attrazione verso un centro ricreano una delle principali necessità umane, quella della comunità, oltre a ristabilire il senso della spazialità che viene così restituita assieme alla temporalità dell’evento che si ripete ogni anno. «Ci siamo basati su questi elementi cerimoniali, che richiamano alla mente le pratiche religiose rituali che hanno modellato la civiltà dall’inizio della cultura umana, come un mezzo per creare comunità in un ambiente liberato in modo anarchico». Perciò, mentre il mondo del ciberspazio si espande come una centrifuga e le società tendono ad atomizzarsi attorno ad unità più piccole, indipendenti e potenzialmente prive di relazioni, questi modelli cerimoniali contribuiscono a ricreare quella necessaria unità: «abbiamo iniziato a dimostrare che è possibile ribaltare questa disintegrazione adoperando proprio quegli strumenti di comunicazione sviluppati dalla nostra società. (…) Il mondo della tecnologia e della comunicazione cibernetiche sono uno strumento meraviglioso, tuttavia ci giungono prive di valori. Lo scambio di informazioni di per sé non può produrre significato, perché il significato è un prodotto organico e altamente complesso che si propaga unicamente nell’ambito della cultura.» Dunque si tratta di fondere queste due sfere in modo da riattualizzare queste esperienze: «Sia il Burning Man sia Internet rendono possibile riunire la tribù dell’umanità, parlare ai milioni di individui dispersi nella grande diaspora della nostra società di massa. Seppur vivendo così, privi del sostegno di tradizioni nel tempo e non radicati in un’esperienza condivisa legata a un luogo, è ancora possibile trascendere questi limiti. Dobbiamo adoperare la tecnologia per creare stazioni spaziali qui sul pianeta Terra, isole di contatto intenso e vivo. È tempo di tornare a casa.» (Larry Harvey, “Burning Man and Cyberspace”, dalle note preparatorie al discorso tenuto al nono Annual Be-In, gennaio 1997)
In modo ancor più esplicito della scena rave, nel Burning Man si può notare un potente influsso religioso che è stato definito tecno-paganesimo, un’ibridazione spinta e diffusa tra il mondo materiale e simbolico delle macchine e degli elementi naturali: montagne di schermi televisivi che proiettano arte digitale baluginano nella notte come oasi nel deserto, alberi fatti di ossa che si muovono azionati da motori, musiche tecno a cui si uniscono suonatori di tamburi sovente ricavati da bidoni di benzina, e un potente richiamo sabbatico. Secondo Molly Steenson: «Il sabato notte, bruceremo l’Uomo. Quando inizia la processione, si forma il cerchio e l’uomo prende fuoco, proverai qualcosa di personale, qualcosa di nuovo per te, qualcosa che non hai mai provato prima. È un’epifania, è una sensazione primordiale, è una rinascita. Ed è completamente individuale». (“What is Burning Man?”, www.burningman.com)
Il totem rappresentato dal Burning Man riassume in sé le caratteristiche della New Age, essendo costruito con un miscuglio di materiali naturali come assi di legno, rami, terra oltre al fuoco, uniti a componenti elettroniche e brillanti colori provenienti da tubi al neon. Prima di essere bruciato, alza le braccia al cielo, esortando la folla. Ogni anno viene riprodotto e come le stagioni, il sole, la vita stessa ritorna dal fuoco e dalla cenere: come la fenice, risorge. Il rituale e i partecipanti gli danno vita. Durante l’accensione del fuoco le persone si radunano attorno, con gran numero di sputafuoco e suonatori di tamburi. Dopo la combustione il sacro feticcio crolla a terra ancora in fiamme, e a quel punto i presenti gettano nel fuoco gli oggetti, grandi e piccoli, che desiderano, e continuano a suonare tamburi, ballare e cantare aspettando l’alba. I caratteri neo-pagani di questo rituale si colgono anche nella costruzione stessa dell’accampamento, con cerchi concentrici attorno alla scena principale costituiti da “campi tematici”: uno dei principali si chiama TOTEM, che sta per tempio dei misteri eterni, costruito da persone di San Francisco, in origine una piccola trincea di fango, che poi si è allargata, quindi è diventato un salone delle feste con un sound system che suonava musica “non-rave”, e infine si è evoluto in un’enorme tenda dedicata ai massaggi. Costoro, nel loro sito internet, sostengono di partecipare all’evento per andare alla ricerca delle loro radici tribali, attuando un primitivo moderno in antitesi alle burocrazie di Babilonia.Spinto dal fatto che da piccolo raduno della scena controculturale di San Francisco sia diventato un evento di portata mondiale, il co-fondatore Larry Harvey scrisse nel 2004 i 10 Principi guida, non degli obblighi ma una riflessione su come la comunità si era sviluppata per evitare che degenerasse. Questi erano: inclusione radicale, chiunque può partecipare e si rispetta lo straniero; dono, senza attendere contropartita; e quindi de-mercificazione, assenza di sponsor, pubblicità o transazioni economiche, per sostituire il consumo con la partecipazione; fare radicalmente affidamento su se stessi e basarsi radicalmente sull’espressione personale che viene donata agli altri; uno sforzo comune nel valorizzare la cooperazione e la collaborazione; responsabilità civica, agendo nel rispetto del benessere pubblico e in accordo alle leggi vigenti; non lasciare tracce, ovvero rispettare l’ambiente senza abbandonare rifiuti; partecipazione, ognuno è invitato ad agire; immediatezza, che è la pietra miliare nella nostra cultura, per abbattere le barriere che ci separano gli uni dagli altri e da ciò che ci circonda.
Eppure le contraddizioni, per non dire di peggio, sono lampanti, a cominciare dal fatto che da evento legato a una subcultura marginale e per certi versi radicale, sia ora un ricettacolo di celebrità e influencer che si mescolano alle decine di migliaia di partecipanti sebbene giungano nei vicini aeroporti sui loro jet privati o affittati. Più passano gli anni, più la quantità di immondizia prodotta – e non del tutto raccolta – aumenta a dismisura, inoltre proprio come ogni altro festival, rave o Rainbow Gathering di un certo spessore, è impossibile impedire il formarsi di zone di vendita, dove a essere commercializzati non sono soltanto beni di prima necessità come acqua, cibo, ghiaccio, ma anche prestazioni come massaggi, lettura di oroscopi e tutte le possibili varianti legati al mercato del benessere fisico e spirituale tipici della New Age, senza contare il merchandising fatto di poster, materiali audiovisivi, magliette e cappellini. Il battage mediatico pubblicitario che anticipa l’evento è sempre più massiccio, e l’uso diffuso di smatphone per immortalare l’evento e riproporlo in diretta o meno sui propri canali personali – al punto che alcuni anni fa le compagnie dovettero impiantare nuove antenne in loco per garantire la copertura del segnale – fanno capire quanto anche la pretesa immediatezza sia andata a finire nel calderone ardente della cybercultura.
Sommario 5.13
Riferimenti 5.13