play_arrow

keyboard_arrow_right

Listeners:

Top listeners:

skip_previous play_arrow skip_next
00:00 00:00
chevron_left
volume_up
chevron_left
  • cover play_arrow

    Live

play_arrow

La nave dei folli

La Nave dei Folli #4.75

micMatteotoday27/05/2024 64 9

Sfondo
  • cover play_arrow

    La Nave dei Folli #4.75 Matteo


Per un curioso dirottamento del senso, un pensiero nato dalla guerra e dal controllo militare è diventato uno dei principali punti d’incontro ideologico della sinistra americana, prima, mondiale poi. La biologa e storica delle scienze Donna Haraway ha aperto la strada pubblicando negli anni Ottanta il suo Cyborg Manifesto, di cui ci siamo già occupati nel corso della Quarta Stagione (Vedi in particolare episodi 4.23/24/25). Spingendo ai limiti estremi la critica dell’universalismo moderno, attacca quello che definisce “femminismo umanista” erede della modernità euroamericana. In una prospettiva postcolonialista e postmoderna, Haraway denuncia la fissazione delle identità in termini di classe, sesso e razza. Così come quella di razza, l’identità sessuale diventa nei suoi scritti una pura costruzione socio-storica destinata a naturalizzare uno stato di oppressione sociale. Di fronte a una simile naturalizzazione del potere maschile, l’abolizione cibernetica delle dicotomie tra natura e cultura, umano e macchina, maschile e femminile sono per lei una fonte di liberazione, permettendo alle donne di affrancarsi dal pesante giogo di essere femmine. (Donna J. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo [1985], Feltrinelli, Milano 1995, pp. 55-62)

Malgrado le sue origini militari il cyborg, quest’essere metà umano metà macchina, metà maschio metà femmina, incarna il livello di ibridazione raggiunto da questa liberazione identitaria. Haraway non nega il potenziale di dominio delle nuove tecnologie dell’informazione e del biotech, però vi scorge un’importante possibilità sovversiva. Il femminismo cyborg sogna un mondo ibrido, senza sesso e senza genere, dove le donne saranno finalmente liberate da quel ruolo riproduttivo predestinato dalla loro natura. Le tecnologie di riproduzione infatti sono l’ambito in cui il femminismo radicale più si accorda al progetto di rimodellamento del corpo umano dell’ingegneria genetica. Ma c’è di più.

In questi ultimi anni il pensiero – se così si può definire questo flusso psicotico di narrazioni speculative zeppe di acrobazie linguistiche e controsensi – di Donna Haraway e delle sue molte epigoni si è evoluto in maniera subdola e pericolosa, in accordo con il coinvolgimento della sinistra postumana nel campo delle lotte in difesa della Terra in cerca di una rinnovata verginità. Non a caso il suo ultimo lavoro è diventato uno dei principali punti di riferimento per i movimenti verdi metallizzati che si agitano sulla odierna ribalta dello spettacolo della contestazione, sebbene dubitiamo assai che lo abbiano compreso (dato il linguaggio criptico e iniziatico) e forse nemmeno letto, proprio come gli altri testi di riferimento del trans/post/xenofemminismo.

Il suo Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (raccolta di saggi scritti tra il 2012 e il 2016) meriterebbe forse una disamina più approfondita. Ci abbiamo provato, ma confessiamo di non averci capito un granché, smarriti tra frasi incomprensibili, linguaggio innovativo e veri e propri nonsense. L’idea che ce ne siamo fatti, con buona pace dei nemici delle pratiche coercitive psichiatriche tra cui ci annoveriamo, è che l’epoca sognata da questa corrente post-cyborg assomiglia a uno Psycocene, dove la mutazione genetica si sposa con l’ambientalismo e la violenza dell’ibridazione meccanica coabita con la simbiosi ecologica. In breve, una follia a metà tra infantilismo e allucinazione. Fin qui, nulla di nuovo.

«Lo Chthulucene ha bisogno di uno slogan, o anche più di uno. Oltre a gridare “Cyborg per la sopravvivenza sulla Terra”, “Corri veloce, mordi più che puoi” e “Taci e impara”, io suggerisco il “Generate parentele, non bambini!”. Generare e riconoscere le parentele è la parte più complicata e urgente di questa proposizione. Le femministe sono state le prime a sciogliere i presunti legami naturali e necessari tra sessualità e genere, razza e sesso, razza e nazione, classe e razza, genere e morfologia, sesso e riproduzione, persone che riproducono e persone che compongono. (…) Se vogliamo l’eco-giustizia multispecie, un tipo di giustizia che possa anche accogliere una popolazione umana diversificata, è tempo che le femministe prendano le redini dell’immaginazione, della teoria e dell’azione per sciogliere ogni vincolo tra genealogia e parentela, e tra parentela e specie. Batteri e funghi non fanno che fornirci metafore, ma le metafore non bastano: le metafore fondate sulla natura non sono sufficienti. Qui c’è da fare un lavoro da mammiferi, insieme ai nostri collaboratori e co-lavoratori simpoietici biotici e abiotici. Dobbiamo generare parentele in sinctonia e in simpoiesi.» (Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma 2019, p. 147)

Ci si potrebbe fare una grassa risata, leggendo questi o altri passaggi, non ci fosse invece da preoccuparsi della presa che tali deliri hanno sulle nuove generazioni di militontismo, anche in salsa ecologista, come dimostra il recente aborto (spontaneo) della manifestazione nazionale contro gli OGM-TEA a causa di dissapori interni dovuti alla mancata egemonizzazione da parte della sinistra transcibernetica che non può accettare di veder mettere in discussione la sua supremazia culturale.

Queste teorie, nate nel blackout mentale prodotto dalla fine della storia e favorite dall’arretramento delle teorie-pratiche dell’acrazia, riempiono le bocche dei suoi follower di paroloni come rivoluzione e anticapitalismo, sebbene rappresentino il fulgido esempio dell’impossibilità della prima, scaduta ormai nell’imperante riformismo socialdemocratico, e sanciscano l’ineluttabilità di un mondo dominato da finanza e tecnoscienze, vista la natura delle sue false opposizioni. Non soltanto queste figure, peraltro provenienti dal mondo accademico delle scienze sociali, sono strumentali alla perennizzazione dei rapporti iniqui che taluni chiamano Capitale, ma con le loro psico-narrazioni contribuiscono – chissà, forse positivamente – a sbugiardare come connivente col nemico e profondamente liberticida questo guazzabuglio postmarxista.

Sommario 5.25

  • Per non dimenticare: Mario Draghi e Roberto Speranza
  • Introduzione
  • Per non dimenticare: Sergio Mattarella
  • SULLA (NON) MANIFESTAZIONE CONTRO GLI OGM/TEA, con intemezzi di Francesco Lollobrigida (Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, dicembre 2023), Alessandro Beduschi (Assessore all’agricoltura regione Lombardia, 28 marzo 2024); Vittoria Brambilla (genetista responsabile epserimento riso TEA, 28 marzo 2024) – TESTO
  • La Nave Dei Folli presenta: FUTURO ONNIPRESENTE – Spunti di riflessione su limiti e possibilità della resistenza all’avvenire cibernetico nell’epoca del totalitarismo scientista  (dicembre 2023) – QUATTORDICESIMA PARTE Puntate complete

 

Riferimenti 5.25

  • Chac Mool, Mundo Feliz (Nadie En Especial, 1980)
  • Klaus Schulze, Neuronengesang (Cyborg, 1973)
  • Гимн партии большевиков (Inno del Partito Bolscevico, 1938)
  • Jon D, Soviet Techno Anthem Remix (2014)
  • Coro delle Mondine di Correggio, Son la mondina son la sfruttata (Mondariso, 1996)
  • James Holden, Idiot Clapsolo (The Idiots Are Winning, 2006)
  • Hellbound, The End Was Inevitable (Anti-System) (The New Warsystem Order, 2002)
  • Clock DVA, Connection Machine (Buried Dreams, CD bonus tracks, 1998)
  • Indian Calling, Indian War Dance (Native American Spirit, 2014)
  • Clock DVA , Final Program (Decoded 2) (Final Program, 1991)
  • Atrium Carceri, Sacrifice To The Machine (Codex, 2018)
  • Jocelyn Pook, Oppenheimer (Flood, 1999) – TESTO
  • Rak Shaza, La Guerra dei Vampiri (Black Shaza, 2013)

La nave dei folli

0%