La Nave dei Folli #4.84 Matteo
La moltiplicazione delle “differenze” annulla l’unica, vera differenza: quella tra i sessi. Questa negazione della prima alterità, costitutiva del simbolico, trova la propria origine nell’immaginario della cibernetica. Non soltanto l’idea di essere informatico riporta il corpo a essere un semplice supporto, favorendo così un avvicinamento tra umano e macchina, ma ha soprattutto permesso di realizzare un vecchio sogno, quello di permettere all’uomo di imitare la donna nella creazione di un essere intelligente. Il progetto di creare una macchina intelligente si collega a una lunga tradizione mitologica di generazione artificiale di un essere a immagine dell’Uomo. I primi informatici provavano un vero e proprio sentimento di paternità riguardo il “computer-figlio”. Con l’apparente ingenuità degli anni Cinquanta, i cibernetisti Gray Walter e Albert Ducrocq arrivano perfino a farsi fotografare assieme sia ai loro figli sia alla loro creatura artificiale, in modo da segnalare questa doppia paternità. La matrice cibernetica genera un nuovo tipo di filiazione.
L’androgino informatico traspare molto chiaramente nel celebre “Gioco dell’imitazione” del matematico Alan Turing. Ritenuto un classico nell’ambiente dell’informatica, questo test parte dal seguente postulato: se un uomo, al di là di qualunque riferimento al corpo, si può far passare per una donna rispondendo alle domande di una terza persona; e se, in un secondo tempo, un computer riesce, attraverso lo stesso procedimento, a ingannare circa la propria vera identità, allora si può concludere che l’involucro corporale è secondario rispetto al contenuto dell’informazione. Perciò è l’abolizione della differenza tra i sessi che permette a Turing di collocare il computer in filiazione diretta con l’uomo. Tuttavia il matematico ci tiene a precisare che bisogna escludere dalla categoria delle macchine «gli uomini nati nel modo normale», sebbene sia, a suo avviso, «probabilmente possibile dar vita a un individuo completo da una singola cellula della pelle, poniamo, di un uomo», affrettandosi ad aggiungere che questo risultato della «tecnica biologica» meriterebbe senza alcun dubbio «la lode più alta». (Alan Turing, “Macchine calcolatrici e intelligenza”, Mind, Volume LIX, n° 236, ottobre 1950).
Alla luce degli attuali sviluppi in materia di tecniche di riproduzione, non è certo anodino ricordare che uno dei testi fondatori dell’informatica faceva direttamente allusione alla clonazione umana. Si comincia perciò a cogliere la portata tecnoscientifica dell’androgino informatico. Quanto alla fine tragica di Turing, morto mangiando una mela avvelenata per sfuggire a un’ordinanza di castrazione chimica emessa da un tribunale britannico, non fa che ricordarci la terribile sorte riservata agli omosessuali della sua epoca. Su un piano metaforico, non si potrebbe considerare questo pomo mortale come un avvertimento di fronte ai pericoli di una seconda Genesi, quella della postumanità?
Sommario 5.34
Riferimenti 5.34