Live
Lunedì | 16:00 | trending_flat | 17:00 |
---|
Episodio 6.8
Se nelle scorse puntate ci siamo focalizzati sulle fasi del concepimento e dell’incubazione di quella che soltanto nel 1947 sarà battezzata cibernetica, per assistere alla sua vera e propria nascita bisogna uscire dall’ambito degli studi di fisica e matematica e delle applicazioni militari di ingegneria ed elettrotecnica, per immergerci nel clima socio-politico postbellico degli Stati Uniti dove, mentre si consolidava il predominio internazionale a livello strategico, economico e culturale, nel paese dominava un “progressismo conservatore”. Sono anni di boom economico, con l’espansione urbana spinta dai mezzi di trasporto individuale a motore, l’ascesa della classe media e del consumismo di massa, la progressiva invasione delle tecnologie domestiche e dei nuovi mezzi di comunicazione e intrattenimento; ma al tempo stesso di forti ingiustizie sociali, con il persistere della discriminazione razziale e il diffondersi di una repressione anticomunista anche in ambito culturale e accademico.
Durante il conflitto mondiale le scienze nel loro insieme si erano rafforzate. Fisici, matematici, ingegneri e affini erano stati coinvolti direttamente e grazie al loro lavoro gli Stati Uniti non soltanto erano usciti vittoriosi, ma erano state gettate le fondamenta di un apparato industriale che avrebbe trainato l’economia e modellato una nuova società. Malgrado lo spettro della distruzione nucleare avesse spalancato l’ipotesi di un’apocalisse totale, e non pochi scienziati coinvolti più o meno direttamente avessero sensi di colpa, la ricerca proseguì inalterata e anzi di lì a poco si sarebbe inventata una nuova bomba atomica, a idrogeno, ancora più potente. La guerra aveva risucchiato molti altri ambiti disciplinari fino ad allora marginali, mettendo a disposizione «un’attività governativa interamente nuova come campo di ricerca per gli scienziati sociali. Ricerche sulla psicologia di guerra, studi sullo spirito di corpo delle truppe, analisi della propaganda militare acquisirono una definitiva consacrazione» (Crawford-Bideman, a cura di, Social Scientists and International Affairs, 1969, pp. 8-9) e molti antropologi, sociologi, psicologi e linguisti collaborarono con le numerosissime agenzie federali e militari. Queste discipline, definite anche “ingegneria sociale” e che avevano sopravanzato i più classici studi umanistici quali lettere, filosofia, storia, nel dopoguerra ricevettero «un notevole incremento in termini di quantità, fondi, prestigio e influenza negli ambienti del potere pubblico e privato. I ricercatori sociali erano spavaldi e arroganti… i sociologi affascinavano con grandi, astratte teorie delle strutture e dinamiche sociali… gli psicologi lasciavano intendere di poter fare grandi cose grazie alla loro capacità di spiegare le leggi fondamentali dello sviluppo e del comportamento e di prevenire le anomalie e le miserie della gente… Gli antropologi, diventanti rapidamente preziosi per il governo durante la guerra, lo furono ancora di più dopo, quando il paese si affermò come forza militare, sociale e politica dominante e assunse la supervisione amministrativa di popoli e culture diverse.» (Seymour Sarason, Psychology Misdirected, 1981, pp. 1-2)
Negli anni in cui si svolsero le conferenze sulla cibernetica «le università e i college diventarono sempre più dipendenti e disponibili verso il governo federale». (Ellen Schrecker, No Ivory Tower. McCarthyism and the Universities, 1986, p. 339) Sovvenzionando la ricerca teorica in vista di applicazioni militari, sia USA che URSS adoperavano le scienze sociali come «strumento della politica statale, tanto per i problemi interni quanto per il prestigio e l’influenza a livello internazionale» (Alvin Gouldner, The Coming Crisis of Western Sociology, 1970, p. 158) e in particolare gli americani anche con lo scopo di ostacolare la diffusione del marxismo, come nel caso dell’antropologa Margaret Mead che mentre contribuì a individuare i punti deboli del sistema sovietico, al tempo stesso divulgò tecniche di politica estera capaci di evitare inutili frizioni con paesi e culture diverse.
Steve Heims – che ci guiderà nelle prossime tappe del viaggio – presenta la situazione in cui si trovavano le varie scienze in quegli anni. Per quanto riguarda i fisici, mentre alcuni intrapresero esperimenti sulla teoria dei quanti, altri invasero il «campo di competenza della biologia con il proposito di decifrare il codice genetico». (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, p. 11) Seguendo le intuizioni di Erwin Shroedinger che nel 1944 aveva pubblicato What is Life?, lo stesso anno si costituì attorno a Max Delbrük e Salvador Luria il “gruppo del fago”, che fu l’incubatore dei ricercatori che scopriranno il DNA e inaugureranno la biologia molecolare. Accantonando le più complesse questioni di fondo relative alla teoria evoluzionistica di Darwin e alle variazioni della specie, adoperarono un «approccio molto riduzionista ai problemi dell’ereditarietà e della comprensione della vita, e l’ottimismo e perfino l’arroganza di alcuni degli scienziati che parteciparono alla ricerca contribuì notevolmente al successo finale.» (Ibid.)
In sociologia, dove le teorie marxiste sopravvivevano soltanto fuori dalle accademie, si impose l’orientamento funzionalistico di Talcott Parsons, una visione conservatrice basata sull’equilibrio, la stabilità e la continuità delle istituzioni che proponeva «determinati compromessi sociali e culturali in funzione dell’equilibrio del sistema», teorie «stranamente insensibili al dolore di chi soffre». (Gouldner, The Coming Crisis, pp. 139 e 196) In antropologia si conducevano molte ricerche e registrazioni sul campo in popoli anche in via di estinzione, accantonando i danni provocati dall’intrusione in culture altrimenti isolate. Il vecchio funzionalismo inglese e la teoria della personalità di derivazione freudiana erano temperati da un certo “relativismo”, e per quanto si insistesse sul fatto che ogni cultura possedeva una propria struttura che permetteva di comprenderne le regole interne, la griglia di interpretazione era occidentale e il punto di vista implicitamente giusto e valido.
Probabilmente l’ambito più importante era diventato quello della psicologia, dove si assisteva a una riduzione delle istanze politiche e sociali alla psicologia individuale, lasciando intendere che i problemi più generali potevano essere risolti partendo dal singolo. «La questione politica dell’oppressione delle minoranze fu convertita in un problema di prestazioni psicoterapeutiche indirizzata a persone con “tendenze autoritarie” (vedi The Authoritarian Peronality del 1950) e l’uso della psicologia in forma riduzionista sembrava consentire la trasformazione dei conflitti politici in fatti “scientifici” fornendo altresì uno strumento di controllo delle istanze sociali.» (Heims, p. 12) Come scriverà Dollard: «Fin dal 1937 i miei interessi di ricercatore si sono discostati dai problemi sociali per concentrarsi sempre di più sulla psicologia. Per questa ragione non sono più in grado di affrontare il problema dei negri.» (John Dollard, Caste and Class in Southern Town, 1957, p. VII) Questo ripiegamento sulle cause individuali lo troviamo anche nel “movimento di salute mentale”, molto attivo in quegli anni: «Un efficace antidoto alla guerra potrebbe essere un istituto internazionale di ricerca impegnato nello studio dell’aggressività, dell’odio e della paura, tanto a livello individuale che di gruppo, e della loro origine in termini di sviluppo della personalità, eredità culturale e condizioni sociali.» (Rennie-Woodward, Mental Helath in Modern Society, 1948, p. 398)
A differenza della psicologia clinica dominata dalle idee freudiane, quella accademica era improntata al neocomportamentismo, che riprendeva la precedente teoria, totalmente riduzionista ed empirica, di John Watson che puntava alla previsione e al controllo del comportamento. Tra i neocomportamentisti spiccava Edward Tolman, che attribuiva grande importanza ai concetti di “finalità” e “conoscenza” in relazione al comportamento animale, e si apriva ad altre correnti tra cui la psicanalisi e la psicologia della Gestalt (ovvero dei fenomeni percettivi). Basandosi sulla correlazione tra organismo e ambiente e ponendo scarsa attenzione alle situazioni interiori, secondo questa teoria mentre il comportamento dev’essere interpretato come risposta a stimoli passati o presenti, i fatti mentali, non osservabili, vanno esclusi dall’analisi.
È in questo contesto che si inseriscono le mosse preliminari del futuro gruppo dei cibernetici. Cogliendo l’attitudine alla collaborazione interdisciplinare fu organizzato un primo seminario, coordinato da Frank Fremont-Smith, allora direttore medico della Josiah Macy Jr. Foundation e che aveva contatti sia con i fisico-matematici sia con alcuni ricercatori in scienze sociali, Lawrence Frank, Margaret Mead e Gregory Bateson – che non seguivano il comportamentismo ma facevano invece parte del movimento di “personalità e cultura”. L’incontro, che si tenne in un hotel newyorkese a metà maggio 1942, ruotava attorno a due questioni, il controverso problema dell’ipnosi e la fisiologia dei riflessi condizionati (il fondamento della psicologia comportamentista), e fu chiamato “Seminario sull’inibizione mentale”.
La società cibernetica globalizzata che procede verso l’inevitabile naufragio
https://lanavedeifolli.noblogs.org/
©2025 Associazione Bandito • CF 97882400019 • Privacy Policy • Cookie Policy (UE) • Protocollo SIAE 7425